LA SOCIOTECA DI BABELE

difendere nostra cultura

Ringrazio il fotografo free-lance d’assalto J. Mejrinchov per questo eccezionale documento fotografico che dimostra chiaramente che la guerra che stiamo combattendo contro i terroristi e le migrazioni di massa verso il vecchio continente è una guerra di culture.
Amici, compagni, camerati! E’ il momento di essere uniti, di essere forti, di calcare il campo di battaglia per difendere la nostra cultura! Continuiamo a leggere un libro al giorno, a studiare e a laurearci in discipline scientifiche, umanistiche e artistiche, a rielaborale le cognizioni intellettuali acquisite mediante lo studio e l’esperienza, così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della nostra identità, nella consapevolezza di sé, degli altri e delle cose del mondo.
Non lasciamo che orde di terroristi e di migranti assaltino le nostre biblioteche, saccheggino i fondi per l’istruzione, s’approprino dei nostri beni culturali portandosi via il David di Michelangelo, le scoperte della Montalcini, i fumetti di Dylan Dog, la pasta al pesto, le terzine più belle della Divina Commedia, marinai, profeti e balene di Capossela, i dialetti, gli onirismi di Fellini, una trifora di palazzo Chiaramonti…
Cosa aggiungere?
Oh, beh, solo che nel mondo circa tre miliardi e mezzo di persone vivono con meno di 5 dollari al giorno. E allora vuoi vedere che quella che bussa alle porte del vecchio continente è invece – come tutte le guerre – una guerra economica? E vuoi vedere che in questa guerra economica gli immigrati, doppiamente sfigati, loro malgrado fanno il gioco delle élite finanziarie che regnano sui popoli europei? Sembra incredibile, ma c’è ancora qualcuno che non ha capito che in regime di cambio fisso (tipo l’euro o il franco CFA), il riequilibrio macroeconomico tra stati diversi si può ottenere solo mediante “deflazione salariale” (ovvero, paghe più basse, più part-time, mini-jobs e precariato, nonché più disoccupazione). Epperò, se sei disoccupato o se hai un lavoro precario con stipendio da fame, difficilmente metti su famiglia con figli (che tu sia etero o omosessuale) e allora ecco che l’oliato meccanismo della disoccupazione a due cifre rischia di incepparsi per mancanza di mano d’opera da schiavizzare. E allora? E allora avanti tutta con la retorica della fratellanza universale, della generazione Erasmus, della bontà di Schengen (che invece, in sostanza, equipara i lavoratori, ovvero esseri umani, a merce da far circolare liberamente). E, ancora, avanti tutta a depredare e a destabilizzare il terzo mondo, cosa che oltre a offrire un lucro immediato, alimenta il terrorismo e innesca un flusso migratorio di massa che si traduce in un vantaggio indiretto visto che alti tassi di disoccupazione sono strutturali nel sistema euro. Insomma, c’è di che stare allegri solo se si fa parte dell’1% dei sempre-più-ricchi (che negli ultimi anni sono arrivati a possedere la stessa ricchezza del 99% della restante popolazione mondiale. Il resto è la solita vecchia ed eterna guerra economica tra poveri.
Ma bando alle ciance, ché la macroeconomia è scienza noiosa e affidarsi alla misericordia dei mercati sperando che le cose vadano a posto da sole è molto meno faticoso. Vieppiù possiamo dormire sonni tranquilli e scacciare ogni senso di colpa, poiché a difendere i diritti dei lavoratori ci stanno pensando i partiti socialdemocratici europei, ovvero i maggiori sostenitori del progetto eurista…
Quindi consoliamoci con un po’ di sana narrativa, visto che le storture del libero mercato globale sono sempre un’occasione stimolante per sondare i chiaroscuri dell’animo umano.

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LA SOCIOTECA DI BABELE

Luce calda, odore di carta.
– Allora, vuol decidersi a fare qualcosa? – protesta l’uomo col cappello.
– Questa è una pagina pubblica: chiunque può entrare o uscire – sbuffa l’impiegato.
– Che schifo… di questo passo dove andremo a finire!
– Shhht! Parli sottovoce. Non vede che siamo in una biblioteca?
L’impiegato completa il rimbrotto additando l’universo scaffalato circostante. L’uomo col cappello si guarda intorno e in effetti, nel racconto, prende corpo una biblioteca comunale: un edificio basso arginato da ampie vetrate luminose nel contesto d’un giardino pieno di sentieri che si biforcano.
– Mi scusi… non ne era stato fatto alcun cenno prima – risponde a denti stretti – ma… ma allora a maggior ragione! Cristo, se non fa qualcosa lei, provvedo io.
Il bibliotecario esita. L’uomo impugna l’iPhone, digita 3 numeri e se lo punta alla tempia.
– Carabinieri? Buongiorno, parla Franco Rossi. Vorrei richiedere il vostro intervento per un clochard negro steso accanto al termo nella sala lettura della biblioteca comunale…
La pronuncia affettata della parola “clochard” seguita dal raglio di gola della parola “negro” crea un inciampo fortuito sulle labbra dell’uomo e due bengala di saliva s’accasciano sul bancone del bibliotecario.
Il silenzio scende di nuovo, soffice, smussando il labirinto di scaffali.
L’uomo col cappello va a sedersi al tavolo di lettura più lontano dal barbone, ma continua a osservarlo oltre il margine di un libro: dev’essere un migrante economico, uno di quei bastardi che sbarcano a frotte sulle coste dell’impero per venire a rubare le briciole di quel benessere che abbiamo pagato a caro prezzo, comprandolo da multinazionali specializzate nella commercializzazione del sogno americano. Dopo un po’ si convince che l’aria calda spinga zaffate di tanfo caprino dal corpo del barbone fino a lui e di lì a poco inizia a sognare ad occhi aperti, vagheggiando l’arrivo delle forze dell’ordine.
– In ginocchio e mani sulla testa, sporco negro! – ringhia il carabiniere e punta la pistola alla testa del criminale.
– Pietà, capo. Tu no sparare me! – frigna il mostro sbavando appena lungo il mento.
– Chiudi quella cazzo di bocca! – gracchia il carabiniere di rimando, nauseato dal fetore dell’animale.
Nel momento in cui preme il grilletto, il carabiniere sta facendo la cosa giusta: certo, non è facile mantenere la dovuta fermezza di fronte a un latrato così gonfio di disperazione e sofferenza, non è facile schivare la lama affilata del senso di colpa che il pezzente vorrebbe affondare nelle carni di chi ha di più… ma è la legge del mercato, bello, è una guerra, uno scontro all’ultimo sangue e tu e i tuoi compari siete un’arma nuova, una truppa d’assalto che arriva là dove non possono arrivare i carri armati… eh, altro che le bombe! Voi siete la più potente tra le armi di distruzione di massa… ma noi sopravvivremo perché nel libero mercato vince sempre il migliore: mors tua, vita mea!
Un attimo dopo, le pareti del sogno s’imbrattano di sangue e di poltiglia grigia.
L’uomo col cappello tira un sospiro di sollievo: fantasticare aiuta ad esorcizzare i mali del mondo.

Il maresciallo dei carabinieri è quasi cieco. Entra in biblioteca guidato da due gendarmi che puntano dritto verso l’uomo col cappello.
– Favorisca i documenti.
– Buongiorno maresciallo, ecco a lei, ma davvero, non capisco perché… il negro che dorme accanto al termo è là in fondo.
– Silenzio… A chi ha rubato la carta d’identità?
– A nessuno! E’ la mia!
– Ma davvero – ghigna il maresciallo – sarò quasi cieco, ma qui la foto nella carta è di un bianco.
– E… e allora?
Risate d’intesa tra i gendarmi. Nervosamente, l’uomo col cappello ricompone un improvviso squarcio della giacca e solo allora nota che le proprie mani sono diventate nere. Nere?
– Non… non è possibile!
– Si sbaglia: nella biblioteca qualunque variazione ammessa dai simboli ortografici è possibile, nonché legale – replica serafico il maresciallo.
– La prego! Tutto questo… tutto questo non ha senso… non può essere reale!
– Bah, la realtà non è che un genere letterario come un altro – chiosa il bibliotecario.
– Io… io non…. aarggh!!!!
L’uomo col cappello lancia un grido straziante, acutissimo. Non pensava che la trasposizione della realtà potesse risultare così complessa, così umanamente sfumata di grigio invece che bianca o nera. Le sue intime convinzioni vacillano e il mostro, l’animale, l’immigrato diventano tutt’uno con lui, arruolandolo tra i tanti sfigati che bramano un posto a sedere alla tavola imbandita dal mercato globale.
Sente gli occhi inumidirsi mentre scopre che è capace di comprendere, di far propri i bisogni e i pensieri di chi fino a poco prima era soltanto un invasore alieno. Ha le mani sudate, ma lo sguardo è più limpido che mai. Prima esita, poi avanza e accenna una reazione. Il carabiniere gli sbarra la strada puntandogli contro la pistola.
Pausa.
Attimi di tensione.
Franco si specchia negli occhi del gendarme mordendosi a sangue la lingua, infine crolla in ginocchio con le lacrime agli occhi.
– Ti prego capo… tu spara questo sporco negro in mezzo a occhi.

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(in caso di cose da dire all’autore: malosmannaja@libero.it)