“Wayne”, una serie-tv da amare

Per i più pigri, incapaci di leggere una recensione fino in fondo, chiarisco fin da subito che questa “scomoda” serie-tv è una colossale opera d’arte: un ibrido impossibile tra Tarantino, Fellini e il duo Ciprì-Maresco. E tanto basti per chiarire che stiamo parlando di qualcosa di più unico che raro.

Wayne è grande cinema, e come tale spazia tra gli estremi e spiazza gli spettatori trattando la materia “umana” con una delicatezza efferata (o forse con una spietatezza premurosa, non saprei). Fatto sta che il risultato è quello d’uno storytelling pieno d’azione e di trovate geniali, divertente e sincero, violento e tenero, trasgressivo e fatale che inchioda chiunque (pur non essendo – doverosa precisazione – prodotto “per tutti i gusti”) davanti allo schermo dalla prima a all’ultima puntata riuscendo a dire senza falsi moralismi qualcosa di significativo sulla povertà, sull’amore, sull’adolescenza, sul crepuscolo della società umana, sugli abusi, nonché sulla pochezza degli adulti.

In particolare, tra gli adulti, soprattutto le figure genitoriali fanno sfoggio in modo drammatico e impietoso della loro quasi totale inadeguatezza: anche quando amano indubbiamente i propri figli, sono però così incasinate/infantili/schiantate da risultare non sono inutili, ma addirittura controproducenti, condannando le generazioni future a vite ancora più sballate e patologiche.

Notevolissimo quanto Wayne riesca ad essere “sottile” anche quando sembra ovvio e complicato quando appare semplice: lo spessore emotivo dei personaggi è tridimensionale pure nei contesti in cui agiscono in modo caricaturale e la recitazione non è mai forzata o “splatterata” neanche quando la violenza o l’assurdità della vita tocca i suoi massimi livelli.

Adorabili, i due protagonisti: una chimica verace, fatta di sguardi, di sofferenza, di ironia, di incomunicabilità nonché di autentico bisogno che non può non coinvolgere lo spettatore per come risulta genuina anche quando lambisce il surreale. Davvero: impossibile non amarli.

Emozioni forti, dunque, ma anche azione, intreccio e trama, lacrime e risate, tanto *spessore* financo nello sviluppo dei personaggi secondari (una cura/attenzione di scuola quasi “vonnegutiana”…). La sensazione è quella di una full immersion, di toccare con mano una spaccato della vita e dei problemi più o meno reali con cui le persone “normali” lottano senza pace ogni santo giorno. Inevitabile, dunque, che come nella vita lo spettatore percepisca un senso costante di incertezza, perché, giustamente, non sai mai cosa ti aspetta dietro ogni angolo, mentre cerchi di barcamenarti tra i casini della vita.

Da un lato mi sembra incredibile pensare che serie-tv insulse siano arrivate alle decima serie e che per contro Wayne dal 2019 ad oggi non sia stato premiato nemmeno con l’uscita di una seconda serie. D’altro canto, mi dico, forse gli autori, consci dell’impossibilità di mantenere lo stesso standard di eccellenza “diluendo il brodo” hanno deciso di non svalutare il capolavoro appiccicandogli una replica/bis (come è invece accaduto con “The End Of The F*****g World”, dove a una prima serie da 8,5 ha fatto seguito una seconda serie da 7). Chissà, magari è solo un tipico segno dei tempi nel magico mondo liberal-capitalista: Wayne è addirittura pericoloso, poiché può far pensare e spingere a immedesimarsi, fino a “specchiarti” nella vita di una plebe sterminata che si contende le briciole sotto al tavolo degli oligarchi della finanza: siamo io, sono noi…

Vabbè, visto che sono in vena di dare in numeri, diamoli: un 9 pieno a Wayne non glielo toglie nessuno.

Trama disossata: Wayne (Mark McKenna) è un adolescente disadattato con seri problemi caratteriali, che agisce come fosse un Robin Hood di Brockton Massachusetts. Del (Ciara Bravo) è una adolescente sveglia e intelligente, con un padre e due fratelli che nulla hanno da invidiare a ominidi del paleolitico. Dopo la morte del padre di Wayne, i due partono insieme in moto per un lungo e strampalato viaggio verso la Florida con l’intento di recuperare la macchina del padre morto, rubata molto tempo prima.

ps: Wayne non è mai “uscito” in Italia, quindi dovrete scaricarvelo in lingua inglese e in caso non padroneggiaste la lingua d’Albione, è disponibile con i sottotitoli sia in inglese che in italiano.

Pasolini e altre cose

A differenza di tanti inflazionati “intellettuali di sinistra”, Pier Paolo Pasolini ha saputo amare il popolo italiano. Nelle sue opere non ha mai trovato spazio il sarcasmo razzista dell’uomo colto (aristocratico o borghese) convinto di possedere una “moralità superiore”: le sue parole non riecheggiano tronfie di disprezzo verso l’italietta dei furbetti, dei sorridenti, degli idioti, dei fascisti ignoranti, degli ultimi tra gli ultimi.

Sul sito amico Neobar è scaricabile l’articolo:

Pasolini, il popolo, la democrazia, il fascismo, il capitalismo finanziario e l’Unione Europea

(in caso di cose da dire all’autore: malosmannaja@libero.it)